“Voglio solo che la gente veda quello che stiamo facendo e pensi: posso farlo anch'io”.
Jerome Peel
Jerome, come è nata l'idea di City Bike Boys?
Sono cresciuto in Florida andando in bicicletta e in moto da cross. Quando mi sono trasferito a New York non ho nemmeno portato con me una bicicletta, soprattutto perché sapevo che me l'avrebbero rubata. Poi, un giorno, io e i miei amici abbiamo iniziato a fare un giro sulle Citi Bikes per divertimento. All'epoca non erano molto popolari, erano considerate da sfigati; ma le guidavamo in giro per la città in modo spericolato, divertendoci, finché un giorno abbiamo pensato: “Perché non lo pubblichiamo online?”.
È stato difficile iniziare?
Onestamente non mi rendevo conto di quello che stavo facendo. Una delle prime acrobazie che ho fatto è stata quella di saltare giù da un'enorme e iconica scalinata di New York. È stato pazzesco, ma ci sono riuscito. Quella clip ha dato il via ai City Bike Boys. All'epoca è diventato semi-virale: tutti a New York l'hanno visto.
Cosa ha unito il gruppo?
Onestamente? Il bar.
Andavamo a bere qualcosa, poi uscivamo e filmavamo. È così che è iniziato tutto.
E il marchio, come si è evoluto?
È iniziato in modo ironico. Le Citi Bikes hanno un grande logo aziendale di Citibank. Ho iniziato a fare merchandising utilizzando il loro logo e mescolandolo con altri: era il mio modo di prendere in giro le aziende. Abbiamo usato i loghi reali, una vera e propria violazione. Ma per cinque o sei anni nessuno mi ha perseguito. Alla fine le questioni legali ci hanno raggiunto, ma a quel punto ci eravamo già fatti un nome.
Parlaci del tuo background e del tuo stile di vita.
Ho cambiato diversi lavori, dal negozio di biciclette, alla consegna di pizze, al barista. Me ne sono sempre andato. Ho sempre avuto problemi con l'autorità; sapevo di voler essere il capo di me stesso, così a 17 anni ho iniziato a comprare e rivendere iPhone. Poi Apple ha avviato una politica di tolleranza zero nei confronti dei rivenditori e ha chiuso tutto. Dopo di che ho capito che dovevo trovare qualcosa che potessi costruire a modo mio e ho lanciato il mio marchio di abbigliamento.
Quale scena musicale o culturale influenza maggiormente il tuo lavoro?
Il punk. Il punk consiste nel fare ciò che si vuole, senza seguire le regole. Questo è molto presente nel DNA dei City Bike Boys. Non facciamo del male a nessuno, ma non seguiamo nemmeno le regole. Anche l'hip hop è bello, ma il punk mi motiva e ispira di più quando pedalo.
Che tipo di abbigliamento indossi quando pedali o crei contenuti?
I capi che indossono devono necessariamento essere larghi, comodi e non restrittivi.
Inoltre, mi piace che tutto ciò che indosso abbia una storia. Preferisco indossare qualcosa fatto da un amico, o qualcosa di locale, invece di grandi marche. Penso che la moda più bella sia sapere da dove vengono i tuoi vestiti.
Cosa ne pensi del techwear come tendenza dell'ultimo periodo?
Se si è persone attive, ha senso. I tessuti tecnici sono perfetti per chi si spinge oltre i propri limiti fisici. È il vero punto di incontro tra praticità e moda.
Come descriveresti il tuo stile personale?
Credo che mi definirei un camaleonte: mi vesto e adatto il mio stilo a quello che faccio. Un giorno utilizzo scarpe da ginnastica e jeans rattoppati, il giorno dopo invece mocassini e camicia. Mi piace cambiare a seconda di dove mi trovo e di cosa sto facendo.
Quali sono i tuoi progetti attuali o futuri?
Sono sempre alla ricerca di modi per superare i limiti. Voglio che sempre più persone vadano in bici e facciano freestyle con le biciclette pubbliche. Ho notato che si stanno formando crew in stile City Bike in città di tutto il mondo: Parigi, Vancouver, Chicago. È una cosa incredibile da vedere.
In che modo riesci a far crescere la tua community?
Ogni anno organizzo una grande gara e pubblico video per ispirare gli altri. Se vedo qualcuno che fa qualcosa di impressionante, lo contatto. Di recente un ragazzo ha postato un salto pazzesco su una Citi Bike: l'ho incontrato e abbiamo filmato qualcosa insieme.

Cosa ne pensi delle collaborazioni?
La collaborazione è essenziale per la crescita. Un tempo rifiutavo le collaborazioni per il gusto di rimanere “cool”, e questo non mi portava da nessuna parte. Ora preferisco crescere, rischiare e aprirmi a un nuovo pubblico. Ho imparato che il “cool” non paga l'affitto.
Una parola per descrivere IDAMA?
APERTO. Siete aperti alle idee, alla collaborazione e a superare i limiti, proprio come noi.
Dalla rottura delle regole all'apertura verso ciò che è nuovo e sconosciuto, il viaggio di Jerome è la prova che ritagliarsi la propria strada non è solo una questione di ribellione, ma anche di visione. Ciò che è iniziato come una passione personale si è trasformato in un movimento e oggi non sta solo costruendo un marchio, ma anche una community di bikers, creators e disgregatori che la pensano allo stesso modo e che inseguono qualcosa di più grande.